COME FUNZIONA (in progress)

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    Il dialogo cambia anche in base a quanta apertura c'è con l'altro, a quanto già lo conosci o pensi di conoscerlo o vorresti conoscerlo. Con Emma inizialmente mi muovevo con più cautela e la scelta delle foto era più ragionato. Poi ho avvertito sintonia e le scelte son diventate più veloci e più libere rispetto al mio stesso giudizio
     
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    Capisco. Peró l’automatismo senza coscienza continuo a non vederlo. Per come la vedo io, si tratta proprio di dialoghi, botta e risposta e a volte anche qualcosa in più se si riesce. Cerco di capire come ragiona l’altro, anche in base alle sue risposte, non è che mi limito solo ad associare foto in un modo o nell’altro, o almeno ci provo. La ricerca di google è un’altra cosa, non è paragonabile secondo me

    Google ti propone tutte le foto simili, ma non ne sceglie una:)
     
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    e si Google fa un'altra cosa, dovremmo integrarlo nel nostro progetto collettivo, scegliamo noi le foto e le mischiamo con le nostre. Ci vuole lo storytelling :blink:
     
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    State decisamente sottovalutando le intelligenze artificiali :-)
     
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    Io non ho esperienze di dialoghi, come ben sapete. Ho solo visto i vostri e letto le vostre riflessioni. Quindi prendete queste parole con le pinze.
    Sono d'accordo con George quando afferma che non si può dire nulla di interessante, se non si ha qualcosa di proprio da dire.

    La corrispondenza formale può essere un criterio, ma sarebbe riduttivo usare solo quello.
    Se paragoniamo un dialogo per immagini a un normale dialogo verbale, a mio avviso, non ne usciamo fuori. Le immagini non hanno significati più o meno univoci come le parole che formano il discorso comune.
    Un elemento di paragone che si può tenere presente, secondo me, è invece la poesia, dove le parole non si legano secondo criteri logici, ma di altro tipo, che per brevità chiamiamo retorici. Ci sono le similitudini (esempio, la roccia è come una pelle rugosa), ma ci sono anche le metafore, dove la parola scarta di piano (la roccia è mia madre). Le immagini possono dialogare solo in queste forme non-logiche, aperte, indefinite, che pongono il dialogo sempre sull'orlo di qualcosa, al di là del quale non si sa cosa ci sia. Non c'è un vero e proprio argomento di conversazione. Ci sono significati nuovi, aperti dall'accostamento di immagini che da sole direbbero ben altro.

    Giorni fa George chiedeva se è possibile seguire un tema. Come dice giustamente Miri, un filo lo si può seguire solo se si hanno a disposizione tutte le foto contemporaneamente e si sceglie quali e come metterle in sequenza, stabilendo un tema, un centro, un inizio e una fine. Un dialogo, invece, si svolge nel tempo, e ogni istante rappresenta un'incognita e nello stesso tempo una possibilità. Possibilità che irrompa l'imprevisto.

    D'altra parte, un dialogo verbale è di solito una cosa privata, compiuta nel suo farsi. Un dialogo di foto, invece, viene fatto prevedendo altri spettatori e addirittura la pubblicazione. Credo che questa finalità giochi un qualche ruolo nella dinamica. Anche inconsciamente, quando si sceglie la fotografia"giusta", si cerca qualcosa che non sia solo una risposta all'altro, ma che sia "comprensibile" a molti, quindi si segue un qualche filo, una proposta di significato. La cosa importante, secondo me, è non essere troppo rigidi ed essere sempre disposti a virare, cambiare, accettare la deviazione e il rischio seguendo l'altro.
     
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    C'entra nulla con l'associazione di immagini simili, secondo me, tipo quello che fa sushisyrup

    Visto Sushisyrup. Sono d'accordo con Miri. Sembra una sorta di morphing statico. Forme che gradualmente, quasi in modo fluido, si trasformano in altre. Non tanto delle associazioni.
     
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    CITAZIONE (samirama70 @ 29/3/2018, 20:13) 
    Giorni fa George chiedeva se è possibile seguire un tema. Come dice giustamente Miri, un filo lo si può seguire solo se si hanno a disposizione tutte le foto contemporaneamente e si sceglie quali e come metterle in sequenza, stabilendo un tema, un centro, un inizio e una fine. Un dialogo, invece, si svolge nel tempo, e ogni istante rappresenta un'incognita e nello stesso tempo una possibilità. Possibilità che irrompa l'imprevisto.

    in effetti questo è ciò che in parte accade, perché l'archivio è il deposito in cui tutte le foto sono a disposizione contemporaneamente.

    anche nella costruzione di un monologo del resto non ho immediatamente a disposizione tema, criteri di scelta e di disposizione, inizio, centro e fine, ma anzi li scopro nel tempo, partendo da ipotesi che monto e smonto a ripetizione mentre continuo a consultare l'archivio. E il filo non è affatto detto sia chiaro all'inizio, spesso nemmeno il tema, anzi non lo è quasi mai, si chiarisce durante la fase di selezione e messa in sequenza. Solo alla fine avrò un percorso compiuto.

    e anche in un monologo spesso non è vero che io lavoro da solo con il mio archivio: se sono serio mi farò aiutare da almeno un'altra persona (il photoeditor).

    Le due differenze di questa situazione rispetto a un monologo insomma mi pare siano: il fatto che qui abbiamo a disposizione non uno, ma due archivi di cui i due dialoganti sono titolari in modo esclusivo; e il fatto che i dialoganti compongono la sequenza in tempo reale, senza possibilità di correzioni e ripensamenti, che in un editing normale sono invece innumerevoli.

    il che, se da una parte aumenta l'importanza dei criteri di lettura e selezione utilizzati (da quelli solo visivi fino alle associazioni che chiamano in gioco l'inconscio) e l'abilità nell'usarli rispetto alla presenza di veri e propri temi, dall'altra non esclude del tutto la loro presenza.

    nella costruzione di monologo la presenza di un tema è nettamente più decisiva (anche se non è detto che lo si conosca all'inizio del lavoro). può anche essere "le mie vacanze a viserbella di rimini", ma ci deve essere, e poi si deve trovare un taglio o un criterio per dare ordine, anche solo "una giornata tipo".

    qui si può decidere di non darselo affatto, il tema, e di basarsi solo su lettura e accostamento di volta in volta, confidando nell'inconscio fotografico che accostando due foto porta in evidenza a volte qualcosa che non era né nella prima né nella seconda foto isolate, ma scaturisce proprio dalla sequenza. un'eccedenza di senso che prima non c'era.

    oppure si può decidere di seguire dei possibili orizzonti tematici, anche se molto vaghi, senza escludere la disponibilità di virare e cambiare direzioni e senza che debbano essere scelti prima di partire, ma che possono anche emergere dagli accostamenti, che messi uno dopo l'altro individuano una linea e ne escludono infinite altre.

    la scelta è insomma tra costuire assieme, passo passo, una rotta oppure procedere assieme, passo passo, in una deriva. e mi pare siano entrambe soluzioni interessanti.

    personalmente mi pare che darsi dei criteri tematici sia senza dubbio più difficile perché introduce un ulteriore paletto nella selezione e perché, essendo in due, si deve trovare il modo di far dialogare non solo le foto, ma anche i temi. non posso partire per la tangente pensando di sapere già di cosa voglio parlare e come farlo, devo sempre intrecciarmi con l'altro, seguirlo e condurlo a turno, scoprendo assieme il terreno comune.

    come un ballo in cui il secondo segue la mossa del primo, e poi il primo segue la mossa del secondo, e così via, ma entrambi seguono a modo loro e interpretano in tempo reale anche uno spartito (che qui però si forma assieme al ballo).

    è più difficile ma a mio gusto più interessante. a mio gusto.

    sono tutte ipotesi naturalmente.
     
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    Proviamo a farne uno dandoci un tema e vediamo come va:)
     
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    eh non si può, il tema viene fuori mentre si fa :-)
     
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    beh ma allora l’abbiamo già fatto io e Giovanni nella prima parte del nostro dialogo:)
     
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    potremmo fare un progetto di dialogo in 10 persone del baretto, uno a turno, in cui non si possono usare foto d'archivio ma le foto vanno fatte solo dopo che hai visto la foto di quello prima di te :-)
    con o senza tema...
     
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    Io faccio foto troppo a caz.... Rovinerei il progetto

    Tornando alla teoria, sono d'accordo su quasi tutto quanto scrive George, tranne la questione del tempo.
    Quando uno fa un progetto personale, scatta un certo numero di foto in vista di esso e poi procede con la selezione e la sequenza. Magari l'idea non c'era prima degli scatti, ma in un secondo momento si lavora su quelli. Nel tuo progetto su Baggio, hai lavorato con le foto scattate là, in un certo arco di tempo. Ma quando ci lavori, le hai tutte sotto mano.
    In un dialogo vale una diversa dimensione temporale, che influisce su tutto il resto. Una dimensione non sincronica, ma diacronica.
    Ognuno ha a disposizione l'archivio della propria vita, magari un insieme di tanti progetti possibili, cominciati, finiti o incompiuti e attinge da lì. E ogni volta non sa quale cassetto andrà ad aprire. In un dialogo c'è un elemento di imprevedibilità che in un monologo non c'è, o c'è in misura molto minore. Non sai mai dove puoi andare a finire. Puoi sì tener presente un tema, ma solo alla fine potrai guardare il tutto e capire se funziona.
     
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    In due si potrebbe riuscirci, in 10 non so, sarebbe comlplicato, già i dialoghi tra 3/4 persone non funzionavano...
     
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    il fatto che i dialoganti compongono la sequenza in tempo reale, senza possibilità di correzioni e ripensamenti, che in un editing normale sono invece innumerevoli.

    Oltre a quello degli archivi a cui si attinge, mi sembra questo il vero punto determinante, che distingue un dialogo da un progetto individuale. In un dialogo, ogni immagine resta legata in modo permanente a un punto della sequenza (cioè a un determinato istante del dialogo), senza possibilità di essere spostata.

    Edited by samirama70 - 30/3/2018, 16:09
     
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    Si Marisa. Ma poi io non dialogo per costruire un progetto, un racconto, quello che è. L’approccio è diverso, non ha senso avere lo stesso approccio di un progetto, almeno per me:)
     
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94 replies since 7/3/2018, 11:04   4324 views
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