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Riprendendo il discorso fatto nel post di Stefania, ed a margine del progetto su Cervignano, posto alcuni scatti della serie 'in divenire' che sto portando avanti da inizio anno;
Nata quasi per caso, ed avente soggetto uno scorcio quasi deserto di case e cortili condominiali, è forse più legata ad una pulsione estetica che concettuale. Rimane il discorso dello scorrere del tempo, legato sempre a serie del genere (anche se qui, ad eccezione delle mutate condizioni di luce, si vede pochino, almeno per ora).
Inoltre non vorrei legarmi alla scelta tecnica di uniformare gli scatti con una posizione precisissima (sono e saranno sempre scatti fatti a mano): l'unica cosa che cerco di mantenere costante è la focale (giusto per includere nel fotogramma le stesse cose, più o meno).
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Non variano solo le condizioni di luce, mi sembra 
È incredibile quante informazioni possono dare immagini diverse dello stesso piccolo luogo. C'è il tempo atmosferico (pioggia, sole, neve), le finestre della casa (tapparelle alzate, abbassate, persiane aperte o chiuse, luci accese o spente), quello che sembra del bucato steso su un balcone in fondo.
Guardandole in serie, non si cercano più le forme, le geometrie, gli avvenimenti, il paesaggio, ecc. Niente di ciò che di solito interessa alla fotografia fatta in strada. Ciò che si osserva sono le piccole variazioni appunto, le minime differenze tra un'immagine e l'altra. Sono questi piccoli mutamenti che danno il senso del tempo che passa. Se le variazioni fossero macroscopiche non si percepirebbe il tempo, ma lo sconvolgimento. Il primo piano verrebbe dato al cambiamento. In questo caso, invece, è proprio lo scarto minimo che dà l'impressione di una lunga durata.
Il tempo è una cosa misteriosa. I fotografi tentano di renderlo nelle immagini da oltre un secolo. Spesso legandolo al movimento o a cambiamenti evidenti.
Invece a me sembra più efficace l'immobilità e la variazione appena percettibile.. -
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È molto profondo quel che dici, Marisa. Descrivi un tempo verticale; quello che cogli da fermo quando ogni lieve cambiamento è uno sguardo sul divenire e sull'essere.
Ieri sera Lise Sarfati diceva che la sensazione di irrealtà (quella che ti spinge a riflettere sulla verità delle cose) nasce da una descrizione il più possibile realistica, precisa.
Secondo me, Giovanni, le tue foto creano questo effetto di irrealtà. Luoghi dove tutto è paradossalmente sospeso. Come se spazio e tempo venissero dilatati.. -
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chissà che effetto farebbe mettere assieme in un unico spazio un po' di questi progetti "da fermo", uno per parete (volendo un po' forzare la mano, anche la mie panchina di sestri potrebbe starci?) . -
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Sì, ci starebbe! . -
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L'idea di una serialità del genere, una per autore, potrebbe funzionare.
Le foto le vedrei bene disposte in maniera abbastanza fitta, di dimensioni non eccessive, a creare una sorta di omogeneo insieme.
La tua serie delle panchine, quella di Stefania dell'albero e la mia del cortile mostrerebbero il tempo in maniera differente... Gli altri avrebbero solo l'imbarazzo della scelta: ognuno con una tipologia differente.... -
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Forzando un poco il concetto, Panchine, Alberello e Cortile mi sembrano, tra l'altro, l'altra faccia rispettivamente di tre generi fotografici: la street photography, il paesaggio naturale e il paesaggio urbano. Rappresentano la loro evanescenza, il loro rarefarsi e dilatarsi nella durata temporale.
Quello che dice Sarfati, Stefania, è molto vero. Noi siamo abituati a una visione che trae il suo senso di realtà a partire da certi schemi ricorrenti di finzione.
Una serie di fotografie quasi uguali non crea finzione, ma non è un modello di visione comune.
Il nostro occhio è abituato ad altri tipi di serialità ( le merci uguali al supermercato, le villette uguali, le uniformi), ma non a quella, ad esempio, di una serie di fotografie (anche se esempi simili già sono stati realizzati).
In un progetto come Cortile, dove la finzione è minima, paradossalmente viene fuori quel senso di irrealtà, perché è una visione inusuale. Una visione, però, che porta ad allontanarsi dall'oggetto. La ripetizione dell'uguale, infatti, relega l'oggetto in secondo piano. L'occhio dopo un po' non lo vede più, lo lascia sullo sfondo. Cerca solo le piccole variazioni. La visione si trasforma: da ricerca della forma, della composizione, della narrazione, del significato, diventa scansione, indagine del particolare. Non può indugiare sulla superficie all'interno della cornice, ma è costretta a passare subito all'immagine successiva, per confrontare, capire cosa è cambiato. Il cambiamento, il movimento (immobile) accadono sotto i nostri occhi. La visione si fa temporalità. Almeno, questa è la mia esperienza
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Piccole variazioni |
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