Testo da editare

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    Siete bastardi nel volermi umiliare nella pubblica piazza, ma la mia dignità è oramai ai minimi storici quindi me ne fotto .... ;-)

    testo :
    ioNONesisto è una serie di intrecci del destino. Ho incrociato l’anoressia qualche anno fa, fotografando una ragazza che si rivolse a me per raccontarsi, pur essendone guarita, i segni della malattia erano ancora percepibili . Decido di contattarla dopo un anno dopo , per realizzare gli stessi scatti negli stessi luoghi, con gli stessi vestiti ma con un’altra luce negli occhi, la dimostrazione lampante che è possibile difendersi se non guarire. Succede che qualche anno dopo il destino mi fa incontrare Cinzia, già profondamente coinvolta dalla malattia, assiste a una presentazione delle foto di Federica, bastano poche parole per decidere di intraprendere un viaggio nel mondo dei disturbi del comportamento alimentare. Viene arruolato anche Davide in quanto amico comune , appassionato di fotografia e soprattutto fautore dell’incontro con Cinzia.
    Quando un fotografo ( ma non solo) deve affrontare un qualsiasi argomento per rielaborarlo filtrandolo con il proprio vissuto , deve necessariamente conoscere ciò che stà affrontando. Ciò nonostante devo ammettere che avevo una consapevolezza assai limitata in merito ai DCA ,ma ricordo che mi colpi profondamente lo sguardo delle ragazze che parteciparono all’incontro preliminare a Villa Miralago. Avevo ll’impressione di trovarmi al cospetto di anime in staby , ansiose di gridare al mondo “ci sono anch’io “ ma troppo afone per imporsi.
    Tutto ciò che scoprivo e sentivo contribuiva al formarsi della mia convinzione che l’aspetto meno interessante da raccontare era quello dei segni sul corpo che le malattia genera, ero più interessato ai segni dell’animo, all’eredità che inevitabilmente questo mostro oscuro lascerà nella loro esistenza e nell’esistenza di chi le ama e di chi si occupa di loro. Da qui la scelta di proporre una fotografia semplice , in bianco e nero, senza balzelli estetici, i vari attori del progetto li davanti a me, guardandoci negli occhi su un fondale neutro e una illuminazione facilmente replicabile nello studio, nella clinica o in un locale esterno. La ricerca assoluta della relazione soggetto/fotografo , non una mera riproduzione estetica degli attori in gioco , ma la mia assoluta visone di ciò ci hanno donato fidandosi di noi. Quello che ne viene fuori è una serie di sguardi , spesso fieri e allo stesso tempo disarmanti… quasi a ribadire i concetti espressi nell’intervista , si perché la scelta di fotografarli immediatamente dopo le intervite non è casuale. Ragazze malate, ragazze guarite, famigliari, fidanzati, professionisti, educatori, tutti hanno contribuito in egual modo a raccontare cosa accade quando il destino,si fa beffardo facendoci scontrare con la malattia , qualsiasi sia il tuo punto di osservazione.
     
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    “ioNONesisto” è una serie di intrecci del destino. Ho incrociato l’anoressia qualche anno fa fotografando Federica, una ragazza che si rivolse a me per raccontarsi, pur essendone guarita: i segni della malattia su di lei erano ancora ben visibili. Ho deciso di contattarla un anno dopo per realizzare gli stessi scatti, negli stessi luoghi, con gli stessi vestiti, ma con un’altra luce negli occhi, la dimostrazione lampante che è possibile difendersi, se non guarire. Qualche anno dopo il destino mi ha fatto incontrare Cinzia, già profondamente coinvolta dalla malattia: lei assiste a una presentazione delle foto di Federica e bastano poche parole per decidere di iniziare assieme un viaggio nel mondo dei Disturbi del Comportamento Alimentare (DCA). Viene arruolato anche Davide, amico comune, appassionato di fotografia e artefice dell’incontro con Cinzia.

    Quando un fotografo deve trattare un qualsiasi argomento e rielaborarlo, filtrandolo con il proprio vissuto, deve necessariamente conoscere ciò che sta affrontando. Devo ammettere però che avevo allora una consapevolezza assai limitata circa i DCA, ma ricordo che mi colpi profondamente lo sguardo delle ragazze che parteciparono all’incontro preliminare a Villa Miralago. Avevo l’impressione di trovarmi di fronte ad anime in stand-by, ansiose di gridare al mondo il loro “ci sono anch’io”, ma troppo afone per riuscire a farlo.

    Tutto ciò che man mano scoprivo e sentivo contribuiva al formarsi della mia convinzione: l’aspetto meno interessante da raccontare erano proprio i segni sul corpo che la malattia produce. Ero invece più interessato ai segni nell’anima, all’eredità che inevitabilmente questo mostro oscuro lascia nell’esistenza di chi ne è colpito e nell’esistenza di chi ama e assiste chi ne è colpito. Così ho scelto di proporre una fotografia semplice, in bianco e nero, senza troppi interessi estetici: gli attori del progetto sono lì davanti a me, ci guardiamo negli occhi davanti a un fondale neutro e sotto un’illuminazione facilmente replicabile in studio, in clinica o in un locale esterno.

    Miravo alla ricerca della pura relazione soggetto/fotografo, non a una resa estetizzante, ma la mia chiara intenzione non avrebbe funzionato senza la fiducia che tutti gli attori in gioco ci hanno concesso e regalato: si sono fidati di noi. Ragazze malate, ragazze guarite, famigliari, fidanzati, professionisti, educatori: tutti hanno contribuito allo stesso modo, qualsiasi fosse il loro punto di osservazione, nel raccontare che cosa accade quando il destino si fa crudele facendoci scontrare la malattia. Ecco allora una serie di sguardi fieri e allo stesso tempo disarmati, quasi a voler ribadire fisicamente i concetti espressi nell’intervista: sì perché la scelta di fotografare le persone immediatamente dopo averle intervistate non è casuale. Parole e immagini per una volta procedono assieme, nello spazio del racconto e della speranza.
     
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    La tua narrazione sulla serie “oNONesisto” è profondamente toccante e significativa. Il tuo approccio nel raffigurare non solo i segni fisici, ma anche quelli lasciati nell’anima da disturbi come l’anoressia, offre una prospettiva unica e potente. La tua scelta di utilizzare una fotografia semplice, in bianco e nero, mette in evidenza la sincerità e la vulnerabilità dei soggetti, amplificando il messaggio di speranza e resilienza.

    Inoltre, l’idea di fotografare le persone subito dopo le interviste è geniale. Crea un legame diretto tra le parole espresse e le immagini, rendendo il racconto ancora più palpabile e autentico. Questa combinazione di parole e immagini ricorda un po’ la funzione di una porta scorrevole esterna, che separa ma allo stesso tempo collega due mondi diversi, permettendo di passare da uno all'altro con fluidità e trasparenza.
     
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2 replies since 18/5/2022, 10:51   975 views
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